州官放火 – La festa delle lanterne

febbraio 11, 2012 at 12:20 PM (Chengyu, Storie buffe, Storie di re e ministri) (, )

“zhōu guān fàng huǒ” – Il funzionario di provincia può dare alle fiamme

Al tempo della dinastia Song del Nord, in una provincia governava un uomo prepotente e di mentalità chiusa che si chiamava Tian Deng. Poiché il suo nome era “Deng”, aveva vietato a chiunque viveva nella sua provincia di usare un qualsiasi carattere che si pronunciasse in quel modo. Di come questo divieto ebbe origine tratta il racconto seguente…

Il villaggio di Putian sorgeva fra le montagne da un lato e l’acqua dall’altro, con un perimetro di alcune migliaia di li, fra monti, laghetti, campi e terreni dalla vegetazione lussureggiante, dalle acque limpide e dalla terra fertile. La gran parte di questi luoghi erano di proprietà di un ricco uomo chiamato Tian Baiwang. Il vecchio possidente, anche se aveva di famiglia così tanta terra fertile, al suo fianco non aveva alcun figlio. Per questo si recava ovunque e spendeva grandi somme d’oro per interrogare la geomanzia e per chiedere consiglio ai più abili fra gli indovini. All’età di quarant’anni alla fine riuscì ad avere un erede e da quel momento lo tenne come una perla in palmo di mano. L’indovino gli aveva detto “quando sarai vecchio otterrai un erede, destinato di sicuro a salire i gradini della nobiltà, e al suo seguito verranno oro e argento, monete e ricchezze.” Per questo, affinché il figlio potesse salire in fretta nei ranghi ufficiali e diventare un alto funzionario imperiale, ovvero “salire con un passo in cielo”, decise di dargli il nome di “Deng”, che significava appunto “Ascesa”.

Tian Deng nacque prematuro, con la testa molto grande e due occhietti piccoli come quelli di un topo. Come se non bastasse, aveva delle grandi sopracciglia arruffate, degli occhi sgraziati e un corpo piccolo e tozzo. Fin da piccolo aveva un carattere cocciuto e indisponente e, provenendo da una famiglia ricca, non perdeva occasione per fare il prepotente con i suoi piccoli compagni di giochi, che per ripicca lo prendevano in giro chiamandolo “Dengzi”, ovvero “Sgabello”. Lui non sopportava questo scherzo e perciò andava da suo padre a lamentarsi, dicendogli: «Mi prendono tutti in giro chiamandomi “Sgabello”, ma quando sarò grande e avrò fatto carriera come funzionario imperiale impedirò a chiunque di utilizzare questa parola!»

Dopo che divenne funzionario, Tian Deng diede ordine alla gente della sua provincia di non usare per nessun motivo ogni parola che si pronunciasse “Deng” come il suo nome. Bisognava perciò trovare altri giri di parole in sostituzione di quelle proibite, così il “giunco della lanterna” (dove la parola lanterna1 si pronuncia proprio “deng”), venne chiamato “giunco di gioia” e allo stesso modo il “porta lanterna”, il “copri lanterna” e la “lanterna” stessa presero il nome di “sorreggi bagliore”, “nascondi luce” e “illumina strade”. Per lo stesso motivo, quando il governatore saliva in carrozza e si metteva alla guida, nessuno osava adularlo dicendo che era “asceso ad alte vette” ma gli dicevano che aveva “scalato alte vette”…

Se qualcuno osava disubbidire a quel divieto si macchiava del crimine di “offesa all’ufficiale supremo del luogo” e per questo poteva, nel caso migliore, essere fustigato. Nel caso peggiore, poteva anche essere condannato a finire in prigione.

Un anno, nel periodo della Festa delle Lanterne2, secondo la tradizione nella provincia si sarebbero tenuti tre giorni di celebrazioni con lanterne colorate accese un po’ ovunque. In quella occasione il capo mastro della casa del governatore appendeva un annuncio per invitare la popolazione a partecipare all’evento.

Quell’anno, però, il funzionario che doveva occuparsi di scrivere l’annuncio si trovò in una situazione difficile: usando la parola “lanterna” avrebbe infranto il divieto imposto dal governatore, ma senza quella parola sarebbe stato difficile spiegare il senso del messaggio. Dopo averci pensato a lungo, il funzionario trovò una soluzione al problema e invece di usare la parola “lanterna” decise di utilizzare la parola “fiamma”. Così, sull’annuncio venne scritta la frase “questa provincia, secondo la tradizione, verrà data alle fiamme3 per tre giorni”.

Dopo che l’annuncio fu appeso, la gente venne presa dal panico. In particolare, i visitatori che venivano dalle provincie vicine non riuscirono a raccapezzarsi e pensarono che il governatore volesse appiccare per tre giorni un grande incendio nella città! Tutti, uno dopo l’altro, fecero le valigie e partirono in fretta e furia. La gente del posto, che già sopportava male il comportamento rigido e irragionevole di Tian Deng, divenne furiosa quando vide l’annuncio appeso di fronte agli uffici del governatore. Da questo nacque la frase “il solo funzionario di provincia ha il permesso di dare alle fiamme, mentre la gente comune non può nemmeno accendere le lanterne”4.

Traduttore: «Questa frase è ancora usata per indicare qualcuno che, in posizione di potere, si permette di fare cose che agli altri non sono concesse.»
Erbetta: «Certo, però… piccolo, brutto, rancoroso e figlio di papà… non serviva un indovino per capire che avrebbe fatto carriera nell’amministrazione pubblica!»

Note del Traduttore

1 Questa storia rappresenta un ottimo esempio della quantità incredibile di parole omofone della lingua cinese. Nel caso particolare, “登 – dēng”, “凳 – dèng” e “灯 – dēng”, si pronunciano tutte nello stesso modo (anche se il tono cambia) ma significano rispettivamente “ascesa, salita”, “panchetto, sgabello” e “luce, lanterna”.

2 Quindici giorni dopo la Festa di Primavera, nel giorno in cui da tradizione terminano le celebrazioni del nuovo anno, si festeggia la Festa delle Lanterne (元宵 – Yuánxiāo). La storia quindi doveva uscire lunedì scorso, e mi dispiace di non aver fatto in tempo. Mi dispiace anche di non aver avuto l’occasione di assaggiare i dolci che prendono il nome da questa festa, le yuanxiao, delle piccole pallette di riso glutinoso con dentro un ripieno (di solito dolce ma esistono molte varianti, anche salate), e che ne rappresentano il piatto più tipico e benaugurale.

3 Purtroppo nella traduzione si perde l’ingenuità del funzionario nello scambiare le parole “lanterna” e “fiamma”. L’errore viene fuori dal fatto che in cinese per dire “accendere una lanterna” e “dare alle fiamme” si usa lo stesso verbo, “放 – fàng”.

4 La frase che rappresenta il vero chengyu è proprio “只许州官放火,不许百姓点灯” mentre il titolo della storia ne riprende solo una parte.

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