偷了一根绳子 – Il secondo anno

settembre 22, 2012 at 4:51 PM (Storie buffe) (, )

“tōule yī gēn shéngzi” – Rubare una corda

C’era una volta un uomo che, scoperto a rubare, era stato legato a un albero. Un suo conoscente che passava per strada lo vide in quello stato pietoso e chiese: «Perché sei stato imprigionato quaggiù?» L’uomo rispose: «La cattiva sorte mi perseguita!» L’altro allora chiese: «Come ha fatto la cattiva sorte a ridurti così?» L’uomo disse: «Poco fa stavo passeggiando per la strada quando mi sono accorto che per terra c’era una corda abbandonata. Sul momento ho pensato che una corda poteva sempre farmi comodo e così l’ho presa senza esitare. Chi avrebbe immaginato che sarei stato imprigionato in questo modo!» Il conoscente rimase incredulo e disse: «Da quando in qua raccogliere una vecchia corda merita una punizione come la tua?»
L’uomo replicò: «Già, però all’altro capo della corda era legato un piccolo vitello.»

Erbetta: «La morale della storia è che al giorno d’oggi un poveretto non può dedicarsi al riutilizzo, opponendosi al consumismo dilagante, senza essere accusato di abigeato!»
Traduttore: «Certo, e per fortuna sua Maestà è una regina illuminata…»
Erbetta: «Illuminata, infatti! Proprio oggi ho portato le candeline per festeggiare il secondo anno di storielle!»

Note del Traduttore

Questa storiella popolare non è legata a un chengyu, i caratteri che compongono il titolo non sono legati a un modo di dire e in effetti si possono trovare diversi titoli abbinati a questa storia. La prima versione che mi è capitato di leggere è quella che ho trovato sul libro di testo utilizzato nei corsi di cinese della mia città. Il libro è “Il cinese per gli italiani. Vol. 2” della Hoepli, in cui alla fine delle singole unità si trova sempre una storiella in cinese tradizionale e in versione “ridotta”. Dal mio punto di vista, il libro ha pregi e difetti (dialoghi improponibili come solo un corso di lingua può inventare, grammatica un po’ tirata via e scelta dei vocaboli non sempre in linea con la loro utilità…) ma quello delle storielle è senza dubbio un punto a favore.  La versione che riporto, comunque, non è quella del libro ma un collage di quelle trovate su internet (su baidu e in questo altro sito).

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呆若木鸡 – L’allenamento del pollo

settembre 10, 2012 at 11:42 am (Chengyu, Storie di animali, Storie di re e ministri) ()

“dāi ruò mù jī” – Imbambolato come un gallo di legno

Il re Xuan di Zhou1 amava i combattimenti di galli e così un giorno diede incarico a un uomo chiamato Ji Shengzi2 di allenare per lui un gallo. Passarono dieci giorni e il re Xuan chiese al signor Ji se l’allenamento fosse terminato o meno ma il signor Ji rispose: “Ancora no. All’apparenza questo gallo sembra molto aggressivo ma in realtà manca ancora di sicurezza”. Passarono altri dieci giorni, il re Xuan andò nuovamente a chiedere informazioni ma il signor Ji disse che il gallo ancora non era pronto: “Appena sente un rumore o vede l’ombra di un altro gallo, subito si innervosisce. Questo dimostra che bisogna allenare di più il suo spirito combattivo.”

Passarono ancora dieci giorni, il re Xuan non riuscì più a trattenersi e andò di nuovo dal signor Ji per sapere a che punto fosse l’allenamento. Il signor Ji disse che non era ancora sufficiente: “Questo gallo ha uno sguardo feroce e non ha perso la sua arroganza.” Così, passarono altri dieci giorni e alla fine il signor Ji disse che l’allenamento del gallo era praticamente concluso: “A questo punto ha il corpo e la mente impassibili3, a vederlo sembra un gallo di legno. Questo dimostra che ha raggiunto i limiti di una perfetta preparazione.” Il re Xuan portò l’animale nell’arena dove si svolgevano i combattimenti. Quando gli altri galli videro il loro avversario, con lo sguardo impassibile come fosse di legno, si voltarono dalla parte opposta e scapparono di corsa.

Traduttore: «Questo modo di dire, che in principio indicava l’impassibilità di chi ha raggiunto una elevata preparazione, è in realtà utilizzato in senso negativo, per indicare un uomo dall’aspetto sciocco o una persona che rimane imbambolata a fissare qualcosa.»
Erbetta: «Non sono sicura di aver capito…»
Traduttore: «Un secondo solo e provo a spiegarmi meglio…»
Erbetta: «Mio buon storiellografo, se ci tieni alla vita metti via quello specchio!»

Note del Traduttore

1 Il re Xuan di Zhou (周宣王 – Zhōu Xuān wáng) fu l’undicesimo reggente della dinastia Zhou e visse fra l’828 e il 782 a.C., periodo in cui la capitale del regno si trovava a occidente, nelle vicinanze dell’attuale Xi’an.

2 Il signor Ji, anche chiamato Ji Shengzi (纪渻子 – Jì Shěngzi) è noto solo per questa storia, che fa parte di quelle riportate da Zhuangzi (come quest’altra).

3 La parola “呆 – dāi”, che compare per prima in questo chengyu, si usa normalmente per indicare una persona sciocca. Il senso del racconto evidenzia però più l’impassibilità che la stupidità, per cui ho pensato di tradurlo in questo modo.

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此地无银三百两 – Due astuti vicini

luglio 15, 2012 at 5:50 PM (Chengyu, Storie buffe, Storie popolari) ()

“cǐ dì wú yín sān bǎi liǎng” – Qui sotto non ci sono trecento pezzi d’argento

C’era una volta un uomo chiamato Zhang San a cui piaceva pensare di essere molto intelligente. Zhang San era riuscito a mettere da parte trecento pezzi d’argento, era molto contento di ciò ma non riusciva a dormire sogni tranquilli. Temeva infatti che qualcuno potesse portargli via il suo tesoro e non sapeva trovare un luogo sicuro dove tenerlo. Portare quei pezzi d’argento sempre con sé era poco comodo e poi era facile che dei ladri intuissero qualcosa; mettere i soldi in un cassetto non sembrava nemmeno una buona idea, anche in questo caso per dei ladri sarebbe stato facile trovarli e portarli via; in un modo o nell’altro, non c’era un solo posto che fosse adatto! Zhang San,  tenendo i pezzi d’oro fra le mani, passò una giornata intera a cercare un modo per risolvere la faccenda. Dopo averci riflettuto a lungo, alla fine l’uomo trovò una soluzione che ritenne di gran lunga la migliore. Con il favore della notte, Zhang San andò nel cortile dietro casa sua e, sotto un angolo delle mura di casa, scavò una buca e con molta circospezione vi nascose dentro i pezzi d’argento. Nonostante tutto, dopo aver riempito la buca  non si sentì ancora tranquillo e pensò che a qualcuno poteva venire in mente che in quel punto ci fossero sepolti dei soldi. Così, si mise di nuovo a riflettere sul problema e ci pensò più volte fino a che non trovò una soluzione. Tornò in casa e su un foglio di carta bianco scrisse la frase “qui sotto non ci sono trecento pezzi d’argento”. Dopodiché uscì in cortile e appese il foglio sulla parete sotto alla quale aveva seppellito i soldi. Convinto che in questo modo i pezzi d’argento fossero completamente al sicuro, l’uomo rientrò in casa e andò a dormire.

Per tutto il giorno Zhang San era apparso con la mente assente e di questo se n’era accorto uno dei suoi vicini di casa, chiamato Wang Er. Quella notte Wang Er sentì che qualcuno scavava una buca nel cortile e pensò che la cosa fosse molto sospetta. Così, quando Zhang San fu rientrato in casa per dormire, Wang Er uscì fuori e, alla luce della luna, osservò il foglio di carta appeso sulla casa del vicino e lesse la scritta “qui sotto non ci sono trecento pezzi d’argento”. Wang Er capì subito tutto, con mani leggere e piedi silenziosi, in quattro e quattr’otto tirò fuori tutti i trecento pezzi d’argento e alla fine riempì di nuovo la buca con la terra. Dopo essere tornato a casa sua, vedendo il bianco luccicare dell’argento, Wang Er si rallegrò molto ma iniziò anche ad avere un po’ di timore. Se il giorno seguente Zhang San avesse scoperto che i soldi erano spariti e avesse sospettato di lui, cosa  avrebbe potuto fare? Perciò, anche a lui venne in mente una brillante idea e, pensando di essere un genio, scrisse su un foglio di carta la frase “il vicino Wang Er non ha mai rubato”. Dopodiché andò subito ad appendere il foglio sull’angolo dove aveva trovato i pezzi d’argento.

Traduttore: «Da allora, sulla base di questa storia popolare, la gente utilizza le frasi “qui sotto non ci sono trecento pezzi d’argento, il vicino Wang Er non ha mai rubato” come un modo di dire e ne hanno creato il chengyu “此地无银 – cǐ dì wú yín”. Quest’ultimo si usa per indicare una persona che si crede intelligente e che vorrebbe nascondere qualcosa, o non far scoprire un errore, e che però ottiene solo il risultato opposto. Adesso, sua Maestà, mi può dire perché ha scritto un cartello con sopra la frase “questo storiellografo oggi non è stato bastonato”?»
Erbetta: «Cercavo di mettere in pratica i consigli della storiella…»
Traduttore: «Ma il senso è sbagliato, ha scritto una cosa vera.»
Erbetta: «Questione di tempo, mio caro storiellografo che non traduci da mesi…»

Note del Traduttore

Zhang San (张三 – Zhāng Sān) e Wang Er (王二 – Wáng Èr) sono l’equivalente cinese dei nostri “tizio” e “caio”. Zhang e Wang sono senza dubbio fra i cognomi cinesi più diffusi mentre “三 – sān” e “二 – èr” corrispondono ai numeri “tre” e “due”.

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白龙鱼服 – Una storia da pescatore

Maggio 2, 2012 at 6:14 PM (Chengyu) (, )

“bái lóng yú fú” – Il drago bianco nelle vesti di pesce

Nello Shuoyuan1 si trova la storia del Drago bianco del mare Orientale. Si racconta che in questo mare vivesse un drago bianco e, avendo il drago trascorso molti anni in quelle acque e non conoscendo come fosse il mondo degli uomini, in cuor suo decise che sarebbe andato fra gli uomini a vedere di persona. Tuttavia, non era proprio possibile recarsi in mezzo alla gente con l’aspetto e il corpo di un drago. Gli uomini non hanno mai visto i draghi e non conoscono il loro aspetto ma, nonostante ciò, sono molto intimidìti da queste creature. Se un vero drago dovesse uscire allo scoperto, la gente ne sarebbe tremendamente impaurita. Così il drago bianco pensò a un soluzione e, per non mostrare il suo vero aspetto, si trasformò in un pesce. La gente è abituata a vedere i pesci ogni giorno, perciò una volta trasformato in pesce, il drago pensò che avrebbe potuto nuotare a giro lungo il fiume e osservare con tranquillità il mondo degli uomini.

Il drago bianco si trasformò in un pesce e dal mare Orientale nuotò fino a un grande fiume e da questo arrivò poi fino a un lago. Il mondo degli uomini presentava molti aspetti diversi, persone di ogni tipo e di ogni forma, uomini e donne. Così, per osservare meglio, il drago spesso saltava fuori dall’acqua. Questo, però, portò a un incidente. A quel tempo, sulla sponda del lago, veniva a pescare un uomo la cui tecnica era molto particolare. Questo pescatore non usava le reti o la canna da pesca, e nemmeno si faceva aiutare dai cormorani, ma se ne stava sulla sponda del lago a guardare con attenzione l’acqua e, una volta individuato un pesce, lo colpiva con una freccia. La sua vista era estremamente acuta, riusciva a distinguere un pesce a più di mezzo metro di profondità e, non appena lo vedeva, era in grado di centrarlo con l’arco e le frecce. Anche quel giorno il pescatore si era recato al lago. Appena vide quel meraviglioso pesce che saltava in alto fuori dall’acqua pensò che fosse un dono del cielo! Così, tirò fuori una freccia, piegò l’arco e, guardando il suo bersaglio, fece partire il colpo. Il drago bianco non si immaginava certo di incontrare un uomo simile e così la freccia lo colpì sulla coda, procurandogli una brutta ferita. Allora il drago si gettò di corsa sul fondo del lago e, riprendendo la sua forma originale, scappò via il più in fretta possibile.

Dopo che fu scappato, il drago bianco provò una gran rabbia per quell’uomo che aveva scoccato la freccia e pensò: lui ha osato ferirmi con i suoi colpi, io per questo dovrò punirlo severamente. In fretta, quindi, si recò al cospetto dell’Imperatore Celeste e gli raccontò il torto subito. Questi, sentito il problema, chiese: «Ma tu non sei il drago bianco del mare Orientale? Come ha potuto un uomo colpirti con una freccia nei pressi di un lago?» Il drago rispose: «Beh, in quel momento non avevo l’aspetto di un drago, mi ero trasformato in un pesce.» «Quell’uomo viene da una famiglia di pescatori e ogni giorno si reca sul lago per catturare i pesci con le sue frecce. Tu ti sei trasformato in un pesce e lui non poteva certo saperlo, il fatto che abbia scoccato la sua freccia contro di te è una cosa inevitabile e giustificata. Per quanto mi riguarda, non c’è motivo di punire quell’uomo.» Così parlò l’Imperatore Celeste, ma il drago chiese: «Ma io sono stato ferito, dovrei forse fare finta di niente?» L’Imperatore allora rispose: «Certo che no, la prossima volta devi fare più attenzione!»

Erbetta: «Costui che va a pescare al lago con arco e frecce e si vanta di aver colpito nientemeno che un drago… La morale della storia è che i pescatori sono davvero i più grandi storiellografi del mondo, senza dubbio!»
Traduttore: «In effetti… Però questo modo di dire si usa per indicare un nobile o un gran signore che nasconde il suo rango e va in giro in abiti normali. A volte, però, si usa anche per mettere in guardia contro i pericoli di una cosa del genere.»

Note del Traduttore

1 Lo Shuoyuan (说苑 – Shuōyuàn), che letteralmente si può tradurre come “giardino di racconti”, è una raccolta di antiche storie compilata da Liu Xiang (刘向 – Liú Xiàng). Questi fu uno studioso Confuciano vissuto all’epoca della dinastia Han, fra il 79 e il 9 a.C., ed ebbe un ruolo importante nel compilare il primo catalogo della biblioteca imperiale.

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含沙射影 – Il mostro delle insinuazioni

marzo 24, 2012 at 10:51 am (Chengyu, Storie di animali) (, )

“hán shā shè yǐng ” – con un granello in bocca colpire l’ombra

Raccontano le leggende che fra il fiume Yangzi e il fiume Huai venne alla luce una creatura molto particolare, chiamata Yu1. La gente le aveva dato molti nomi e fra questi vi erano “tiratore”, “colpisci ombra”, “balestra d’acqua” e “volpe d’acqua”.  Questo animale, che spesso attaccava gli uomini, aveva una forma molto strana: sul suo dorso cresceva un guscio duro simile a quello di una tartaruga ma aveva solo tre zampe e sulla testa aveva delle corna. Aveva anche delle ali con cui poteva spiccare il volo e librarsi in aria in modo da attaccare gli uomini da sopra le loro teste. Non aveva occhi ma le orecchie erano molto sensibili e gli garantivano un udito finissimo. In mezzo alla bocca aveva una sorta di protuberanza orizzontale, la cui forma somigliava a una balestra, e bastava che sentisse la voce di un uomo per sapere in quale direzione e a che distanza fosse. A quel punto, colpiva le sue vittime utilizzando come dardi i granelli di sabbia che teneva sempre in bocca. Gli uomini colpiti dallo Yu venivano contaminati dal suo veleno e delle piaghe si formavano lì dove erano andati a segno i colpi. Su dieci uomini che venivano feriti, sei o sette perdevano la vita. Anche quando il corpo di un uomo riusciva a evitare i colpi dello Yu, era sufficiente che questa creatura colpisse l’ombra di quella persona per farla cadere ammalata.

Traduttore: «Infatti, qualche settimana fa, mentre passeggiavo in cerca di nuove storielle, qualcosa ha colpito la mia ombra e sono stato male fino a oggi…»
Erbetta: «E tu pensi che sia il primo certificato di malattia che ricevo con scritto “colpito di striscio dallo Yu”? Comunque non preoccuparti, mio buon storiellografo, il randello reale eviterà accuratamente la tua ombra!»
Traduttore: «Non avevo dubbi! In realtà, questo modo di dire si usa per indicare qualcuno che attacca alle spalle o in modo indiretto, facendo insinuazioni.»

Note del Traduttore

1 Lo Yu (蜮 – yù) è un mostro della mitologia cinese che si nasconde nell’acqua per attaccare gli uomini. Non è facile trovare una descrizione univoca di questa creatura, che spesso comunque ha un’aspetto simile a quello di una tartaruga a tre zampe (un’immagine è ad esempio questa).

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州官放火 – La festa delle lanterne

febbraio 11, 2012 at 12:20 PM (Chengyu, Storie buffe, Storie di re e ministri) (, )

“zhōu guān fàng huǒ” – Il funzionario di provincia può dare alle fiamme

Al tempo della dinastia Song del Nord, in una provincia governava un uomo prepotente e di mentalità chiusa che si chiamava Tian Deng. Poiché il suo nome era “Deng”, aveva vietato a chiunque viveva nella sua provincia di usare un qualsiasi carattere che si pronunciasse in quel modo. Di come questo divieto ebbe origine tratta il racconto seguente…

Il villaggio di Putian sorgeva fra le montagne da un lato e l’acqua dall’altro, con un perimetro di alcune migliaia di li, fra monti, laghetti, campi e terreni dalla vegetazione lussureggiante, dalle acque limpide e dalla terra fertile. La gran parte di questi luoghi erano di proprietà di un ricco uomo chiamato Tian Baiwang. Il vecchio possidente, anche se aveva di famiglia così tanta terra fertile, al suo fianco non aveva alcun figlio. Per questo si recava ovunque e spendeva grandi somme d’oro per interrogare la geomanzia e per chiedere consiglio ai più abili fra gli indovini. All’età di quarant’anni alla fine riuscì ad avere un erede e da quel momento lo tenne come una perla in palmo di mano. L’indovino gli aveva detto “quando sarai vecchio otterrai un erede, destinato di sicuro a salire i gradini della nobiltà, e al suo seguito verranno oro e argento, monete e ricchezze.” Per questo, affinché il figlio potesse salire in fretta nei ranghi ufficiali e diventare un alto funzionario imperiale, ovvero “salire con un passo in cielo”, decise di dargli il nome di “Deng”, che significava appunto “Ascesa”.

Tian Deng nacque prematuro, con la testa molto grande e due occhietti piccoli come quelli di un topo. Come se non bastasse, aveva delle grandi sopracciglia arruffate, degli occhi sgraziati e un corpo piccolo e tozzo. Fin da piccolo aveva un carattere cocciuto e indisponente e, provenendo da una famiglia ricca, non perdeva occasione per fare il prepotente con i suoi piccoli compagni di giochi, che per ripicca lo prendevano in giro chiamandolo “Dengzi”, ovvero “Sgabello”. Lui non sopportava questo scherzo e perciò andava da suo padre a lamentarsi, dicendogli: «Mi prendono tutti in giro chiamandomi “Sgabello”, ma quando sarò grande e avrò fatto carriera come funzionario imperiale impedirò a chiunque di utilizzare questa parola!»

Dopo che divenne funzionario, Tian Deng diede ordine alla gente della sua provincia di non usare per nessun motivo ogni parola che si pronunciasse “Deng” come il suo nome. Bisognava perciò trovare altri giri di parole in sostituzione di quelle proibite, così il “giunco della lanterna” (dove la parola lanterna1 si pronuncia proprio “deng”), venne chiamato “giunco di gioia” e allo stesso modo il “porta lanterna”, il “copri lanterna” e la “lanterna” stessa presero il nome di “sorreggi bagliore”, “nascondi luce” e “illumina strade”. Per lo stesso motivo, quando il governatore saliva in carrozza e si metteva alla guida, nessuno osava adularlo dicendo che era “asceso ad alte vette” ma gli dicevano che aveva “scalato alte vette”…

Se qualcuno osava disubbidire a quel divieto si macchiava del crimine di “offesa all’ufficiale supremo del luogo” e per questo poteva, nel caso migliore, essere fustigato. Nel caso peggiore, poteva anche essere condannato a finire in prigione.

Un anno, nel periodo della Festa delle Lanterne2, secondo la tradizione nella provincia si sarebbero tenuti tre giorni di celebrazioni con lanterne colorate accese un po’ ovunque. In quella occasione il capo mastro della casa del governatore appendeva un annuncio per invitare la popolazione a partecipare all’evento.

Quell’anno, però, il funzionario che doveva occuparsi di scrivere l’annuncio si trovò in una situazione difficile: usando la parola “lanterna” avrebbe infranto il divieto imposto dal governatore, ma senza quella parola sarebbe stato difficile spiegare il senso del messaggio. Dopo averci pensato a lungo, il funzionario trovò una soluzione al problema e invece di usare la parola “lanterna” decise di utilizzare la parola “fiamma”. Così, sull’annuncio venne scritta la frase “questa provincia, secondo la tradizione, verrà data alle fiamme3 per tre giorni”.

Dopo che l’annuncio fu appeso, la gente venne presa dal panico. In particolare, i visitatori che venivano dalle provincie vicine non riuscirono a raccapezzarsi e pensarono che il governatore volesse appiccare per tre giorni un grande incendio nella città! Tutti, uno dopo l’altro, fecero le valigie e partirono in fretta e furia. La gente del posto, che già sopportava male il comportamento rigido e irragionevole di Tian Deng, divenne furiosa quando vide l’annuncio appeso di fronte agli uffici del governatore. Da questo nacque la frase “il solo funzionario di provincia ha il permesso di dare alle fiamme, mentre la gente comune non può nemmeno accendere le lanterne”4.

Traduttore: «Questa frase è ancora usata per indicare qualcuno che, in posizione di potere, si permette di fare cose che agli altri non sono concesse.»
Erbetta: «Certo, però… piccolo, brutto, rancoroso e figlio di papà… non serviva un indovino per capire che avrebbe fatto carriera nell’amministrazione pubblica!»

Note del Traduttore

1 Questa storia rappresenta un ottimo esempio della quantità incredibile di parole omofone della lingua cinese. Nel caso particolare, “登 – dēng”, “凳 – dèng” e “灯 – dēng”, si pronunciano tutte nello stesso modo (anche se il tono cambia) ma significano rispettivamente “ascesa, salita”, “panchetto, sgabello” e “luce, lanterna”.

2 Quindici giorni dopo la Festa di Primavera, nel giorno in cui da tradizione terminano le celebrazioni del nuovo anno, si festeggia la Festa delle Lanterne (元宵 – Yuánxiāo). La storia quindi doveva uscire lunedì scorso, e mi dispiace di non aver fatto in tempo. Mi dispiace anche di non aver avuto l’occasione di assaggiare i dolci che prendono il nome da questa festa, le yuanxiao, delle piccole pallette di riso glutinoso con dentro un ripieno (di solito dolce ma esistono molte varianti, anche salate), e che ne rappresentano il piatto più tipico e benaugurale.

3 Purtroppo nella traduzione si perde l’ingenuità del funzionario nello scambiare le parole “lanterna” e “fiamma”. L’errore viene fuori dal fatto che in cinese per dire “accendere una lanterna” e “dare alle fiamme” si usa lo stesso verbo, “放 – fàng”.

4 La frase che rappresenta il vero chengyu è proprio “只许州官放火,不许百姓点灯” mentre il titolo della storia ne riprende solo una parte.

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画龙点睛 – Occhio al Drago!

gennaio 23, 2012 at 11:09 PM (Chengyu, Storie buffe) (, )

“huà lóng diǎn jīng” – Dipingere un drago e colorarne gli occhi

Al tempo della dinastia Liang, nel periodo delle dinastie del Nord e del Sud, viveva un pittore di grande fama chiamato Zhang Sengyou, la cui abilità nel dipingere era superba. L’imperatore Wu di Liang, che all’epoca regnava sul paese ed era un fervente sostenitore del Buddismo, fece costruire molti templi e in ognuno di questi chiese a Zhang Sengyou di dipingere qualcosa.

Si racconta che, un anno, l’imperatore Wu di Jiang chiese a Zhang Sengyou di realizzare quattro dragoni d’oro sulle pareti del Tempio della Pace e della Felicità, nella città di Jinling. Il pittore seguì l’ordine e in appena tre giorni completò l’opera. I dragoni del dipinto apparivano quasi come reali, splendidi e somiglianti, e vividi come dei veri draghi.

Una volta terminato il dipinto, molte persone accorsero per ammirarlo e tutti fecero grandi lodi alle qualità e al realismo dell’opera. Però, quando le persone si avvicinavano per osservare da vicino il dipinto, si accorgevano che a ognuno dei quattro draghi non erano stati colorati gli occhi. Uno dopo l’altro tutti chiedevano al pittore di rimediare a quel dettaglio mancante. Zhang Sengyou spiegò la cosa dicendo: «Dipingere gli occhi è una cosa facile da farsi. Se però coloro gli occhi a questi draghi, loro romperanno il muro e prenderanno il volo.»

Tutti quelli che ascoltarono queste parole restarono increduli e pensarono che una simile spiegazione fosse assurda, come potevano dei dragoni dipinti su una parete prendere il volo? Così, alla lunga, molti arrivarono  alla conclusione che il pittore stesse mentendo.

Zhang Sengyou non riuscì a trovare un modo per evitare la cosa e si trovò costretto a dipingere gli occhi. Quel giorno, di fronte alle pareti del tempio, si raccolse un gran folla di persone. Zhang Sengyou, di fronte a tutta quella gente, sollevò il pennello e con leggerezza dipinse gli occhi a due dragoni. A quel punto avvenne davvero una cosa incredibile, non appena gli occhi furono completati d’improvvisero il cielo si coprì di nubi, si alzarono forti venti da ogni direzione e fulmini si abbatterono ovunque. In mezzo ai lampi, le persone videro che i due draghi avevano spaccato il muro su cui si trovavano e si erano alzati in volo, con le fauci spalancate e gli artigli minacciosi, cavalcando le nuvole sopra le loro teste.

Dopo poco tempo, le nubi si diradarono e la giornata tornò ad essere luminosa. Le persone erano tutte esterrefatte e nessuno riusciva a dire una sola parola. Nella parete in cui si trovavano i quattro animali rimanevano solo i due dragoni a cui non erano stati dipinti gli occhi mentre non c’era più traccia degli altri due.

Traduttore: «Da allora questo modo di dire si usa per indicare quegli ultimi tocchi che rendono uno scritto o un’opera d’arte davvero vividi ed efficaci.»
Erbetta: «Caro il mio storiellografo, lo sai che è passato un anno dall’ultima storia?»
Traduttore: «Sua Maestà si riferisce al fatto che oggi è capodanno? Infatti inizia l’anno del Drago, auguri!»
Erbetta: «Ah! Oggi è di nuovo capodanno? Allora sono due anni dall’ultima storia! La tua punizione sarà terribile…»

Note del Traduttore

Zhang Sengyou (张僧繇 – Zhāng Sēngyóu) fu un famoso pittore della dinastia Liang (梁朝 – Liáng cháo) vissuto all’epoca dell’imperatore Wu (梁武帝 – Liáng Wǔ dì), fra il 490 e il 540 d.C..

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推己及人 – Un bianco Natale

dicembre 25, 2011 at 11:31 PM (Chengyu, Storie di re e ministri) ()

“tuī jǐ jí rén” – Spingere se stessi fino agli altri

Durante il periodo delle Primavere e Autunni, un anno nel regno di Qi iniziò a nevicare con forza e, dopo tre giorni e tre notti, la neve ancora non accennava a smettere. Il duca Jing di Qi si era avvolto in una veste fatta con pelliccia di volpe e sedeva nella sala ad ammirare lo splendore della neve, contemplando la scena nuova e singolare. In cuor suo si augurava che continuasse a nevicare per diversi giorni, così lo spettacolo sarebbe diventato ancora più bello e straordinario.

Yanzi entrò nella sala e, come se avesse capito i pensieri del duca, si mise a osservare i fiocchi bianchi che scendevano con eleganza. Il duca Jing disse: «Sono tre giorni che nevica e non si sente per niente freddo, anzi! Sembra di essere nel tepore della primavera!»

Yanzi osservò il duca e la pelliccia in cui si era avvolto strettamente, pensò al fatto che fosse al riparo nella sua sala, al chiuso, e con tono franco disse al sovrano: «Davvero non crede che sia freddo?» Il duca annuì con la testa.

Yanzi pensò che il duca non avesse compreso il senso della sua domanda, così disse senza giri di parole: «Ho sentito raccontare che, nei tempi passati, i venerabili sovrani mangiavano in abbondanza ma non di meno si preoccupavano che potesse esistere anche della gente affamata; si vestivano con abiti pesanti ma si preoccupavano della gente che moriva congelata; si davano ad agiatezza e riposo ma non di meno si preoccupavano della gente stanca e stremata. E allora, come può lei non preoccuparsi affatto delle altre persone?» A queste parole di Yanzi il duca Jing non seppe cosa rispondere.

Erbetta: «La morale di questa storia è che non tutti sperano in un bianco Natale.»
Traduttore: «Non proprio, ma di sicuro alle volpi girano parecchio le scatole quando nevica… e non solo. Questo modo di dire si usa per indicare la volontà di mettersi nei panni delle altre persone e il fatto di pensare anche ai bisogni degli altri. Per esempio, ho pensato che a sua Maestà avrebbe fatto piacere una storiella, e spero anche agli altri lettori. Tanti auguri!»

Note del Traduttore

Il saggio Yanzi e il duca Jing di Qi sono già stati protagonisti di altre storielle, per esempio questa.

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普天同庆 – La festa del principe

dicembre 11, 2011 at 11:33 PM (Chengyu, Storie di re e ministri) ()

“pǔ tiān tóng qìng” – Ovunque si festeggia assieme

Quando venne alla luce il figlio dell’imperatore Yuan di Jin, a corte si fece una grande celebrazione e l’imperatore, estremamente felice dell’avvenimento, decise di conferire un premio a tutti gli ufficiali di stato. Fra questi vi era un funzionario chiamato Yin Hongqiao che, quando giunse il suo turno di ricevere il dono dell’imperatore, ringraziò in tono educato dicendo: «Il principe è nato, ovunque sotto il cielo si festeggia assieme, i funzionari non hanno meriti, tuttavia vostra Maestà ci onora con doni tanto importanti che non oso accettare!» L’imperatore ascoltò queste parole e, rivolgendosi a Yin Hongqiao per prenderlo in giro, disse: «È nato il principe e, in questa faccenda, tu come potresti avere dei meriti?» Con una sola voce tutti i presenti, ufficiali civili e militari, scoppiarono a ridere.

Erbetta: «Eh, la morale della storia è che su certe cose è meglio non fare battute! Qualcuno potrebbe avere una risposta…»
Traduttore: «In realtà questo modo di dire si usa per indicare un evento da celebrare in modo universale. Tipo il viaggio dell’uomo sulla luna, o il fatto che anche la regina debba aver ceduto il potere a un governo tecnico. Un tempo non avrebbe mai accettato storie così corte senza protestare…»

Note del Traduttore

L’imperatore Yuan di Jin (晉元帝 – Jìn Yuándì), nato con il nome di Sima Rui (司马睿 – Sī​mǎ Ruì), fu il primo imperatore dei Jin Orientali. Nato nel 276 d.C., salì al trono in seguito all’uccisione dell’Imperatore Min da parte delle popolazioni del Nord, gli Han Zhao, che avevano conquistato e saccheggiato le capitali dell’impero, Luoyang e Chang’an. Ciò che rimaneva della corte imperiale Jin si rifugiò a Est, nella città di Jiankang, sotto il comando di Sima Rui che divenne il nuovo imperatore. Nel gennaio del 323 d.C. l’imperatore Yuan morì e il trono passò al figlio.

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明察秋毫 – La via del Re

dicembre 4, 2011 at 10:43 PM (Chengyu, Storie di re e ministri) ()

“míng chá qiū háo” – Vedere chiaramente le sottili piume d’autunno

Xiaobai, ovvero il duca Huan di Qi, e Chong’er, il duca Wen di Jin, durante il periodo delle Primavere e Autunni divennero, prima uno e poi l’altro, Egemoni e ogni altro principe feudale dovette sottomettersi al loro potere. Alcune centinaia di anni più tardi, durante il periodo degli Stati Combattenti, il re Xuan di Qi pensò anch’egli di proclamarsi Egemone. Per questo si rivolse a Mencio e disse: «Lei può raccontarmi le imprese del duca Huan di Qi o del duca Wen di Jin, affinché io possa imparare?» Mencio però rispose: «Mi dispiace, noi discepoli di Confucio non abbiamo mai raccontato le imprese degli Egemoni. Noi possiamo solo parlare della Via dei Re, la strada di coloro che grazie alla forza delle loro virtù sono in grado di unificare la terra sotto il Cielo.» Il re Xuan di Qi perciò chiese: «Quali sono allora le virtù necessarie per unificare la terra sotto il Cielo?» Mencio disse: «Mi hanno raccontato che una volta, in occasione della costruzione di una nuova campana, mentre si preparava il sacrificio di un bue, vostra maestà abbia guardato quell’animale che, pur senza colpe, si apprestava a essere ucciso, e in cuor suo non ha più avuto la forza di farlo. A giudicare dal vostro buon cuore, niente vi impedisce di percorrere la Via dei Re, ovvero di adottare la politica della benevolenza e unificare la terra sotto il Cielo. Il problema perciò non è se voi possiate o meno seguire questa strada, il problema è se voi la seguirete oppure no! È come se un uomo dicesse: “La mia forza è tale da sollevare più di mille chili, ma non posso tirar su una piuma; il mio sguardo è in grado di vedere con chiarezza cose sottili come le piume e il pelo degli animali d’autunno, ma non riesco a vedere la legna per il fuoco che riempie il carretto”. Vostra maestà potrebbe credere a parole simili?» Il re Xuan di Qi rispose: «Senza dubbio no!» Senza attendere, subito Mencio disse: «Certo che non potrebbe crederci! Ora, però, avete dimostrato che il vostro cuore può essere magnanimo nei confronti degli animali, ma non siete capace di dimostrare altrettanta magnanimità nei confronti del vostro popolo, e anche questo sarebbe ben difficile da credersi! Il motivo per cui la vostra gente non può vivere in pace e lavorare felice è che in fondo voi non vi curate di loro. È chiaro, perciò, che il problema è se vostra maestà fa o non fa le cose necessarie, non se ne ha la capacità o meno. Quando voi mi chiedete se siete in grado di seguire la Via dei Re, di unificare la terra sotto al Cielo, il problema è che non fate, non che non potete fare!»

Erbetta: «La morale di questa storia è senza dubbio che sono tutti bravi a fare i filosofi con il regno degli altri! Vorrei vederli alla prova, questi professori…»
Traduttore: «Eh, in effetti la cosa non è rassicurante. Però, in realtà, questo modo di dire dovuto a Mencio si usa per indicare chi ha una chiara visione delle cose e distingue ogni dettaglio. Inoltre, insegna che il giusto regnante non segue la Via degli Egemoni ma quella della virtù e della benevolenza…»
Erbetta: «E immagino che la prima cosa che abbia fatto il re Xuan sia stata di far fuori tutti i filosofi… e gli storiellografi inopportuni!»

Note del Traduttore

Il duca Huan di Qi è stato oggetto di questa storia, mentre il duca Wen di Jin è già comparso per esempio in questa. Allo stesso modo, anche Mencio non è nuovo alle storielle. La benevole Via dei Re (王道 – Wáng dào), contrapposta alla dispotica Via degli Egemoni (霸道 – Bà dào), era alla base della filosofia politica di Confucio, di cui Mencio fu il principale interprete.

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